Los Angeles

Io disapprovo Las Vegas
Sono giornate grosse, intasate. Ti svegli e vai a letto e neanche ti sei accorto. Quindi dovrò essere sbrigativo, se non voglio che passi troppo tempo senza aver raccontato niente.
Eravamo rimasti che saremmo migrati verso sud, insieme alle oche. E così è stato. Alla Union Station di Chicago abbiamo preso un treno che in circa 43 ore ci ha portati alla Union Station di Los Angeles. Due notti su quei sedili. Gli americani non la spengono mai l’aria condizionata, neanche se fuori c’è meno dieci. Comunque c’era la living car, un vagone con tavolini e poltroncine girati verso vetrate panoramiche. Io ci andavo soprattutto di notte, quando da vedere c’era poco (neanche un lampione per miglia e miglia, buio nero) ma era più tranquillo: il posto ideale per autocommiserarsi della propria insonnia.
A Los Angeles avevamo un appuntamento con l’autonoleggio Budget dell’aeroporto, perché noleggiare all’aeroporto, a quanto pare, costa meno; quindi abbiamo dovuto ingegnarci con metropolitane varie per arrivarci, con addosso quegli zaini immensi che dobbiamo assolutamente ridimensionare. Ma ce l’abbiamo fatta, alla fine. Quelli della Budget ci hanno dato un’altra Focus, bianca questa volta, e tre volumi (col culo lungo). Ce ne siamo stati in giro quattro giorni, un po’ da barboni come al solito. Ma la cosa, con una macchina a fare da rifugio, ci viene più naturale. Due notti ci abbiamo dormito dentro e in totale abbiamo fatto circa 2500 miglia, attraverso un itinerario più o meno premeditato che ha toccato la Death Valley (meraviglia di aridità e rocce scavate da acque che non scorrono più da secoli), Las Vegas (posto orrendo, abbiamo anche perso un dollaro alla slot machine), e il Grand Canyon (il GRAND CANYON).
E ora siamo qui a Redondo Beach (nella contea di Los Angeles) ospiti della famiglia di Michael, che già ci aveva accolti nella sua casa di Boston. Che dire… Seduti in giardino, sul bordo della piscina, vediamo l’Oceano. Proprio noi, noi che abbiamo mangiato pane bianco e pappa per cani fino a due giorni fa. It’s fantastic!
Ieri abbiamo passato il Natale in famiglia, quasi come due di famiglia. Eravamo a casa di granma (la nonna di Michael, non la barca di Castro). Abbiamo scambiato i regali intorno all’albero e mangiato un tacchino eterno (prima non finiva mai di cuocere, poi di ingombrare il piatto) tagliato con una specie di sega elettrica in miniatura. Un’esperienza di circa otto ore in totale.
Qui è un po’ come fosse fine maggio in Italia. Stamane abbiamo camminato scalzi sulla spiaggia, Laura ed io, accanto ai surfisti e ai cormorani che volavano a filo d’acqua, assecondando il moto delle onde, millimetrici.
Stiamo per andarcene dagli Stati Uniti: per noi una fase si chiude. Tre giorni, tre. Poi: Mexico.

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