Messico e nuvole

Quei maledetti barconi
In Messico apriamo le danze con una figuraccia, sull’aereo appena atterrato. Lo speaker dice qualcosa e, tanto per cambiare, io non capisco un tubo. Mi pare che dica di aspettare un attimo, che ringrazi per la pazienza; forse si scusa per un qualche inconveniente. Fatto sta che però le porte dietro di noi, seduti nella penultima fila, si aprono. Tre tali seduti in fondo si alzano e se ne vanno, solo una donna resta seduta. Laura si alza e, perbacco, lei lo sa lo spagnolo, avrà capito… Evidentemente è ora di scendere punto e basta. Faccio per seguirla ma rimetto subito il culo sul sedile perché vedo il tale seduto nella fila accanto che la prende per un braccio dicendo “No no no!” pieno d’apprensione. La donna dietro di noi dice qualcosa, anche lei preoccupata. Scopriremo poi che i tre tali erano dei Servizi segreti che dovevano scendere, per l’appunto, in gran segreto. Tutti l’avevano capito… Solo per noi era un segreto.
Ma a parte questo antefatto poi le cose sono andate meglio. L’ostello di Città del Messico puzzava di fogna, l’acqua calda c’era di rado e la colazione (quando arrivavi in tempo) faceva schifo. Però abbiamo fatto amicizia con i compagni di stanza: due ragazze francesi, un argentino e un peruviano. Con loro abbiamo passato il veglione organizzato dall’ostello: un cartello invitava ad una meravigliosa festa dalle ore 21, promettendo un banchetto niente male. Alla fine c’eravamo solo noi (quasi) e i panini sono arrivati a mezzanotte! Mi ero tenuto digiuno…
E poi, si sa, alle feste si balla. Questo dato di fatto mi ha consentito ci conoscere Richardo, un tedesco con gli occhi e i capelli da tedesco, alto alto, con una scarpa tenuta insieme dal nastro americano. Se ne stava lì appoggiato alla ringhiera della terrazza (la festa era sulla terrazza) a guardare giù e a scolare birre. Poi ha visto che io me ne stavo lì appoggiato al bancone a guardare in su e a scolare birre ed è venuto per fare due chiacchiere. Aveva quell’aria triste anche perché il giorno dopo gli toccava di tornare in Germania, dopo mesi in giro per il Sud America a fare il cooperante per una ONG. Più tardi, chiuse le danze e recuperata la moglie, siamo andati tutti e tre a fare un giro per il centro. Richardo ci parlava un po’ in spagnolo e un po’ in inglese, a seconda delle nostre lacune. Alla fine ci ha lasciato qualche riferimento utile per quando scenderemo più a sud.
Il primo gennaio passiamo la giornata con i nostri compagni di stanza. Decidiamo di lasciarci portare in giro senza fare troppe domande e finiamo in una trappola per turisti: sembrava trattarsi di una contemplativa gita in barca, tra le acque di canali antichi e misteriosi. Si è rivelata una scampagnata su una tangenziale acquatica, nell’ora di punta, con lavori in corso e tamponamento a catena. Un baccano infernale. Quei maledetti barconi dai nomi ridicoli, mossi da gondolieri armati di lunghi bastoni con i quali spingevano sul fondo, erano così tante che era un continuo scontrarsi, incagliarsi, arenarsi, intraversarsi, naufragarsi. A complicare le cose ci si mettono anche barconi di mariachi che ti vogliono vendere una canzone, barconi di venditori di tacos, di tequila, di giocattoli, di fiori. Alla fine l’impresa ci costerà 580Mex$ e se penso che fino a qui ci siamo tolti il cibo di bocca…
Intanto continuano, senza successo, le nostre ricerche per un appartamento a basso costo a Puebla. Città del Messico non è male: per strada mi sono pappato un sacco di tacos. Ma è una città troppo grande, troppo caotica, troppo difficile da interpretare. Abbiamo bisogno di qualcosa che sia più provinciale, più alla nostra portata. Il 2 gennaio salutiamo l’allegra compagnia e prendiamo un bus per Puebla, dove staremo in ostello per tre notti. Tre giorni per trovare un posto in cui stare.

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