Guatemala, è deciso

San Cristóbal de las Casas
Il 4 febbraio, alle nove e mezza della sera, Dianne e Carlos ci salutano alla stazione dei bus di Puebla. Pacche vigorose sulle spalle per i maschietti, occhi lucidi per le femminucce. Raccomandazioni, numeri di telefono sul nostro taccuino rosso. Poi si sale a bordo, guardiamo dal finestrino i nostri amici in piedi sulla banchina, loro aspettano la nostra partenza. Sarà l’autista, uno che in fin dei conti in questa storia non c’entra niente, a tagliare il cordone ingranando la retromarcia e portandoci via di là.
E così “Ciao Puebla”, dopo più di un mese. Ciao Dianne, che mi hai soprannominato Milaneza, per quante me ne sono mangiate. Ciao multisala Cinemex, anche se dei tuoi film in spagnolo non ho capito un cazzo. Ciao Parco comunale (io li odio i parchi, ma quello lì no perchè ha le erbacce che spuntano dalle crepe del vialetto). Ciao omino del gas, che ci avevi proprio rotto le palle con il tuo megafono alle otto di mattina. Ciao padrona di casa, che volevi rubarci i soldi del deposito. Ciao piccola Sam, che hai ricevuto “in eredità” lo zaino di Laura, per i tuoi viaggi futuri. Ciao Estudiantino, vicino di stanza, e scusa se abbiamo usato la tua connessione Internet senza chiedertelo. Ciao a tutti, ormai è deciso: si va in Guatemala. E già che ci andiamo, ci andiamo lentamente, ci concediamo le nostre digressioni.
Sull’autobus che da Puebla ci porta a Salina Cruz (sull’Oceano Pacifico) non si dorme male. E del resto ormai ci siamo abituati. L’idea è di fermarci un paio di giorni al mare, a fare bagni e a prendere il sole, ma non abbiamo fatto i conti col vento che ti butta la sabbia negli occhi. Giriamo da una spiaggia all’altra con i Taxi collettivi, ma gli abitanti del posto ci fanno notare che non abbiamo scelto la località migliore: loro stessi, se vogliono andare al mare, vanno da un’altra parte.
Così il giorno dopo prendiamo altri bus fino a Tuxtla Gutiérrez, capitale del Chiapas. All’Hostal San Miguel passiamo la notte svegli a guardare sei puntate de “La nuova squadra Spaccanapoli”, così che il giorno dopo siamo freschi e pronti di buon mattino per l’escursione con la lancia nel Canyon del Sumidero. Un posto incantevole, ma mi sarebbe garbato di più navigare un po’ al di sotto dei 180km/h… Ho un sacco di foto ricordo, tutte mosse.
Tappa successiva a San Cristóbal de las Casas, luogo in cui mangiamo i tamales più buoni del mondo. Luogo, anche, in cui tocchiamo il punto più basso a livello di alloggi: cose che preferisco non raccontare. Dico solo che è stato logisticamente impossibile dormire. Per la prima volta in vita mia ho sperato che la sveglia suonasse presto e mettesse fine all’incubo puzzolente di quella topaia.
Per fortuna la sveglia è alle 5:30: alle 6:30 aspettiamo il pullmino per Guatemala City (che arriva invece alle 8). Il viaggio è lungo, pieno di intoppi e ritardi, cambi di mezzi e trasbordi di zaini. Alla frontiera cerchiamo invano di far valere i nostri diritti, di non farci rubare soldi, ma siamo forse troppo timidi e inesperti: ci lasciamo scucire 20 pesos a testa. Pochi soldi, ma mi gireranno le palle per qualche ora. Arriviamo a destinazione che è notte. In albergo non risulta la nostra prenotazione e noi non abbiamo moneta locale. Non accettano pesos nè carte di credito. Dopo una giornata del genere ci manca solo di restare per strada di notte, con gli zaini pieni e la pelle bianca, in una delle zone più pericolose di una delle città più pericolose del mondo (questo ci hanno detto tutti, per farci stare tranquilli). La tipa alla reception chiama il gestore, che per fortuna si lascia impietosire e ci dà una stanza, con la promessa di prelevare e pagarlo l’indomani mattina.
Ed ora, insomma, eccoci qua, a Città del Guatemala. Qui resteremo per tre mesi, a lavorare come volontari per il Mojoca, un movimento di ragazzi di strada.

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