Gli eroi resistenti all’insonnia

Nel buio lo schermo del mio cellulare colora il soffitto di blu: 1:20 a.m.
Insonnia. Esiste davvero o è solo una suggestione? Se non dovessi alzarmi così presto domani mattina, forse, non sarei qui a pormi il problema. Se non avessi questa sveglia puntata alla tempia probabilmente stapperei un’altra birra, leggerei un altro capitolo. Magari uscirei a fare due passi, mi siederei su una panchina a guardare i tombini.
Dunque, l’insonnia non esisteva prima che inventassero la sveglia? È figlia degli obblighi tutta quest’ansia? Si tratta solo di una conseguenza di ritmi che non mi appartengono?
Quanto invidio le persone che chiudono gli occhi e subito si addormentano. Ne ho una accanto proprio adesso. Si spengono come gli aspirapolvere: un ultimo sbuffo e poi tutto tace. Ma se io chiudo gli occhi il mio cervello prende lavorare più in fretta, acquista una nuova lucidità, va dritto al punto. E allora è interessante. Ma più spesso si ingarbuglia intorno ad una questione senza cavarne fuori niente. Ossessivo. Altre volte rimugina stronzate, piccolezze quotidiane che probabilmente hanno sollevato questioni più grandi. Ma non dovrebbe essere compito dei sogni, dell’attività onirica, occuparsi di queste cose? Devo per forza essere presente anch’io?
2:45 a.m. Allontano lo schermo del cellulare dagli occhi ma un piccolo rettangolo di luce rimane impresso, rimbalza e si moltiplica sulle palpebre chiuse. Pruriti inspiegabili nelle zone più irraggiungibili della schiena mi costringono a contorcermi. Mi graffio con rabbia: perché non dormi, stronzo!
Fuck you, insomnia. Non mi terrai qui a rigirarmi attorno al cuscino come un pollo allo spiedo.
La luce dei lampioni che filtra dalle tende è sufficiente per trovare i pantaloni e le scarpe. In un minuto sono fuori, furtivo, senza svegliare nessuno. Soprattutto Dylan il cane, perché se si sveglia lui è un pasticcio.
L’aria è fresca, sento il sudore asciugarmisi addosso. Prendo la bicicletta e inizio a passare in rassegna il reticolato di strade intorno alla casa, lentamente, quasi senza pedalare. Non c’è nessuno in giro, solo qualche taxi a caccia di ubriachi da riaccompagnare.
Mi guardo intorno. Ogni casa un giardino, ogni giardino un vialetto, ogni vialetto una macchina. È lo standard. Anche in questa zona, dove la gente è più povera. Mi fermo un attimo al numero 35 di Rotokawa Street: una vecchia Toyota Corolla piena di ammaccature se ne sta di sbieco tra le erbacce, accanto ai pali di una vecchia altalena senza più un sedile. La casa avrebbe bisogno di una riverniciata, decadente anche alla luce indulgente dei lampioni. C’è una luce accesa oltre i vetri incrinati di una finestra. Si affaccia un uomo con una tazza in mano, guarda verso di me. Riprendo la strada spingendomi col piede contro il marciapiede.
Mi arrampico lungo Taupo View Rd. fino a raggiungere la cima della collina. Nel girare l’angolo per Rifle Range Rd. quasi mi scontro con una ragazza forse quindicenne, vestita in canottiera e pantaloni di jeans cortissimi. Cammina veloce, mi scarta e passa oltre. Sta piangendo.
Io sono un tipo “prima il dovere e poi il piacere”. Preferisco lavare i piatti subito e poi sdraiarmi sul divano e non pensarci più. Ma se vedo un lago in fondo a una discesa non resisto. Non importa se al ritorno mi tocca la salita. Così prendo un bel respiro, lascio andare il manubrio e mi godo qualcosa di facile. Senza pensare al “poi”, una volta tanto.
Il lago è più bello di giorno, quando è azzurro e quando si vede il vulcano Ruapehu coperto di neve sullo sfondo. Le case quaggiù sono lucenti, tengono nascoste le Mercedes oltre le saracinesche automatiche dei garage. Gli impianti di irrigazione – esseri insonni anche loro – sollevano un profumo che sembra di pioggia. Ogni casa ha uno stile diverso: dallo chalet svizzero al cottage americano. Ma tutti gli architetti hanno avuto un pensiero comune: la terrazza con vista lago.
Già che sono venuto fin qui qui, vado a vedere che aria tira in centro. Passo davanti al Taste Café, a quest’ora buio e silenzioso. Tra poche ore sarò in quella cucina ad affettare carote. Nel parcheggio lungo la riva c’è una lunga schiera di macchine e camper, dove anche io e Laura ci siamo fermati a dormire durante le nostre prime notti a Taupo. Poco oltre, gli unici locali aperti la notte: qui sono concentrati tutti gli esseri umani ancora svegli di questa città. Musica, risate, birra. Forzo un poco l’andatura: non sia mai che c’è in giro qualcuno che conosco e mi tocca fare conversazione. Non ho neanche un dollaro in tasca, fra l’altro, anche se mi volessi fare una bevuta.
La salita non è poi così faticosa senza il sole del pomeriggio e senza i pantaloni da lavoro che indosso di solito quando la percorro.
Mi rinfilo nel letto. Tra non molto suonerà la sveglia e io mi alzerò comunque, come sempre. Come tutti gli insonni del mondo. Siamo, a nostro modo, degli eroi resistenti.

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