Eccoci nella nostra stanza di New Orleans. Spifferi, cesso sbreccato, quadro appeso a testa in giù. Il letto è enorme, direi tre piazze visti i tre cuscini in fila. Il designer ha pensato al verde scuro quale colore dominante (tende, fodere delle sedie, moquette) e alle crepe come motivo principale (ce n’è sul soffitto, sulle piastrelle del bagno, sulla porta…).
Non male. Un paradiso insomma, e lo dico seriamente: le ultime tre notti le abbiamo passate in viaggio sui pullman della Megabus e avevamo addosso un odore di dormitorio tale che una doccia, per quanto ingiallita e crepata, era tutto quel che ci voleva. Non vedevamo l’ora di toglierci quei vestiti di dosso e tutt’ora siamo indecisi se bruciarli.
In ogni caso viaggiare sui pullman è stata un’esperienza formativa. È andato tutto per il meglio.
A parte la volta che il tale seduto davanti a me ha iniziato ad avere le convulsioni e quasi ci restava secco. L’ha portato via l’ambulanza, ma prima ha fatto in tempo a sbausciarmi sulle scarpe. E a parte il Pazzo: ce lo siamo beccato per due viaggi di fila e parlava da solo, rappava una specie di rosario incomprensibile, imbacuccato come un Touareg coi Ray-Ban. Per il resto, a parte qualche bambino molesto e una giovane autista al suo debutto assoluto (1000 Km in notturna!) è andato tutto bene. A un certo punto abbiamo fatto caso a una cosa: eravamo quasi sempre gli unici due musi bianchi della situazione.
La prima tappa l’abbiamo fatta a St. Louis: siamo scesi infreddoliti e assonnati alle cinque di mattina. Fuori dal bus c’era una stazione chiusa e una città muta. Per quanto girassimo a velocità supersonica in cerca di un bar non c’è stato verso: gelo e basta, finché non ha riaperto la stazione. Siamo riusciti a scaldarci un po’ nel pomeriggio, sdraiandoci tipo lucertole in riva al Mississipi.
Tappa numero due a Memphis. Arrivati nel tardo pomeriggio (dopo il viaggio con lo sbauscione) ci siamo concessi una cena messicana (buonissima) e una birra con concerto in un locale (non male). Una bella serata, estremamente mondana per i nostri standard.
Terza tappa ad Atlanta, dove abbiamo passato la giornata su una panchina al sole e non ci sembrava vero di poter togliere qualche strato di dosso. E a cena (accidenti, non abbiamo rispettato il budget quotidiano previsto!) un hamburger con patatine (mica quelli di Mac) e una porzione di chili. Spettacolo.
L’ultimo tratto l’abbiamo fatto in macchina. Stamattina il pullman ci ha scaricati alle cinque a Mobile (Alabama), davanti a un Holiday Inn. Lì abbiamo scroccato un passaggio a un cliente che andava verso l’aeroporto, dove abbiamo noleggiato la Focus che ci ha portati a destinazione.
E ora eccoci qui a New Orleans. Siamo pronti, per New Orleans. Che dire: speriamo che ci sia buona musica. Altrimenti che senso ha?