E alla fine l’appartamento l’abbiamo trovato. Sarebbe più corretto chiamarla camera, ma resta il fatto che è una sistemazione niente male, dotata di:
– zona notte
– angolo cottura,
– sala da pranzo,
– Jacuzzi,
Fermarci un po’ in un posto ha diversi vantaggi. Il primo (il denaro viene sempre per primo!) si abbassano le spese e la media giornaliera (abbiamo tutto un taccuino fitto fitto di conti) torna ad una soglia al di sotto del limite d’allerta. Secondo, fermarsi un tempo relativamente lungo significa conoscere i luoghi e le persone in un modo diverso, un poco più profondo. Poi ci si riposa la schiena, ci si ritrova in una quotidianità per nulla disprezzabile; si ha il tempo di pensare indietro e avanti, di progettare, tenere contatti. Nel mio caso c’è il tempo per scrivere e perdere tempo (è così piacevole) sul web.
In questa casa non siamo ospiti di nessuno, per la prima volta (ostelli e bettolacce varie a parte). Ma ancora una volta sono rimasto senza parole né gesti di fronte alla generosità della gente. Ricordate la donna preoccupata, quella seduta dietro di noi sull’aereo per Città del Messico? Si chiama Dianne ed è un avvocato, figlia di padre newyorchese e madre messicana. Scendendo dall’aereo mi era venuto in mente di chiederle consiglio su quale compagnia di autobus prendere e in quale stazione per arrivare a Puebla da Città del Messico. Lei è stata molto carina e disponibile, da subito. Ci ha dato le informazioni che ci servivano e ci ha dato il suo numero di telefono pregandoci di chiamarla, senza farci problemi, dato che abita vicino Puebla. Così ci siamo salutati: lei nella fila dei cittadini messicani e noi dall’altra parte, con gli extracomunitari.
A Puebla siamo rimasti tre giorni all’Hostal S.to Domingo. Una bettola, tanto per cambiare: camerata da 18 con tanto di petomane e russatore professionista, freddo polare, cesso che non si chiude. C’è poi da dire che da queste parti sono piuttosto abili nel vendere ciò che in realtà non c’è. Per esempio, doveva esserci il servizio lavanderia. E non è che non c’era: solo si trattava di fare tutte le proprie cose in un fagotto entro le 11 della mattina e di consegnarle a una signora, che le avrebbe portate in lavanderia per 40Mex$ (ce le abbiamo portate noi, per 13). Allo stesso modo all’Hostal Moneda di Città del Messico vantavano (sul sito Internet) il servizio trasporto dall’aeroporto: basta una telefonata, dicevano. Dopo mezz’ora è arrivato un tale con una Pointer (una Polo venuta male) tutta scassata, con uno straccio infilato a chiudere la voragine dove un tempo c’erano le bocchette dell’aria. Si era appena alzato dal letto (erano le sette di sera) e tranquillo guidava facendo il pelo al traffico tremendo della città, con i Cure nell’autoradio a cassette. Il tutto per 160Mex$ (il tragitto inverso l’abbiamo fatto in metropolitana, per 6Mex$).
Ma stavo parlando di Dianne, mi pare. Al secondo giorno di permanenza all’Hostal le ricerche della camera procedevano, ma a rilento. Così abbiamo chiamato Dianne, che sembrava contenta di sentirci. Ci ha consigliato di comprare il Sol de Puebla (una specie di Settegiorni ma, spero, più serio) e di dare un’occhiata agli annunci in una certa sezione. Ci ha anche dato appuntamento al nostro Hostal per quel pomeriggio. Noi (io componevo il numero e reggevo il giornale) abbiamo fatto un po’ di telefonate, ma ci siamo fermati in attesa di Dianne, per chiederle quali zone della città fossero migliori e quali assolutamente da evitare (c’erano strane differenze di prezzo). Lei è arrivata con il marito e una delle figlie e, senza perdere tempo, ha preso il giornale e si è messa a telefonare. Non sapevamo come comportarci. Alla seconda telefonata l’abbiamo sentita dire nel telefono: “Saremo lì entro venti minuti”. Poi ci ha detto: “Andiamo” e ci ha fatti salire in macchina. La stanza era troppo piccola per due, così abbiamo fatto altre telefonate. Il secondo appuntamento è andato meglio, anche se la stanza era gelida (compreremo poi una stufetta elettrica usata che non funzionerà) e buia (niente lampadine, finché qualcuno non paga l’affitto). Comunque ce la caviamo con 2300Mex$ al mese (circa 130€) e non è male.
Non sapevamo che dire a Dianne, a Carlos e alla loro figlia. Sappiamo solo che abbiamo imparato qualcosa da loro. Li abbiamo invitati a cena: non tanto per dovere (e comunque ci sembrava il minimo), quanto per passare dell’altro tempo con loro, per capire chi fossero davvero quegli angeli gentili. Ma alla fine Carlos è irremovibile: “La cena la pago io” dice. È un po’ imbarazzante la faccenda (per noi), soprattutto per la difficoltà a comunicare nella loro lingua. Ma Dianne taglia corto e dice “Ci vediamo domani col colchon.”
“Eh?” dico io.
“Il colchon, il materasso. Ce n’è uno solo nella stanza. Vi porto anche qualcosa per fare le pulizie”.
Tutto questo è difficile da spiegare. In altre circostanze forse mi sarei tirato fuori da tanto interessamento. Vuoi per il vile sospetto che poi ci sarebbe stato un conto da pagare. Vuoi perché non è bello sentirsi di peso. Ma da quando siamo in giro (a Boston con Michael e Monica, a New York con Aron e Francesca, a Naperville con Marco e Sara, a Los Angeles con Berney e Kathy…) abbiamo respirato un’ospitalità e una naturalezza disarmanti. Una gioia di accogliere e conoscere, perfino. Non c’è dietro niente di più, davvero. Solo, ora sembra naturale anche a noi fare lo stesso quando ne abbiamo la possibilità. A quanto pare, c’è da guadagnarci in ogni caso. E c’è in ballo una ricchezza che sembra essere davvero inestimabile: un aprirsi di strade e orizzonti e possibilità inedite. Visto così, sembra che il mondo sia un bel posto in cui stare.