Da una parte c’è chi non tollera le differenze ed esige che i bambini stranieri siano del tutto uguali agli altri, dall’altra c’è chi le esalta in modo acritico e si impegna per preservarle dall’assimilazione. In entrambi gli atteggiamenti la diversità è sotto i riflettori, continuamente messa in risalto, danneggiando chi ne è portatore.
Nella mia vita da educatore, nelle scuole, spesso mi sono trovato alle prese con situazioni del tipo: “Mohamed adesso ci racconterà gli usi e costumi del suo paese” oppure “tradurrà per noi in arabo questa canzone.” Il povero Mohamed di turno, che ogni giorno ce la metteva tutta per mimetizzarsi ed essere come gli altri, si ritrovava una ventina di paia d’occhi puntati addosso e iniziava a balbettare i cliché che, secondo lui, l’insegnante voleva sentire.
Non penso che le differenze vadano taciute, o annullate. Non credo nella bieca assimilazione. Propongo solo uno stile più morbido, meno invadente. Meno coloniale, ecco. Prima di mettere l’accento sulle differenze, credo si debbano esaltare le somiglianze. Mettere la persona a suo agio, fare in modo che si senta sullo stesso piano degli altri. Solo allora, forse, si sentirà di esporsi e condividere gli elementi della sua cultura di origine.
Nella pratica: non sprecate energie organizzando attività educative che mettono al centro la persona e la sua differenza. Se proprio volete trattare questi temi, caricateli sulle vostre spalle di insegnanti e lasciate fuori gli alunni. Se in classe avete un bambino senegalese, ad esempio, e pensate che sia un bene per lui e per la classe affrontare il tema delle differenza culturali, proponete un racconto che parla della Cina, della Sicilia o, perché no, degli alieni. Proponete un gioco. In altre parole, siate delicati, avvicinatevi poco alla volta, per cerchi concentrici al cuore della questione e, soprattutto, aspettate che sia la persona a uscire allo scoperto.
Ci sono molti buoni motivi per non entrare a gamba tesa sulle differenze. Molte volte, ad esempio, le differenze non ci sono proprio. Il bambino ha un nome straniero, è nato all’estero, ma conosce perfettamente la lingua, condivide giochi e interessi dei compagni e ha quasi dimenticato la cultura di origine. Oppure, all’opposto, è appena arrivato in Italia e ha voglia di assorbire il più in fretta possibile la cultura italiana. O ancora, alla storia nel paese di origine sono legati vissuti dolorosi, ferite che non hanno bisogno di sale, tanto meno sul palcoscenico della classe.