Credevo di essere furbo

Il vento si alza verso l’ora del tramonto, solleva la sabbia e disegna dune leggere sulla spiaggia. Inizia a fare buio presto. Un vecchio dalle braccia flaccide cammina metodico in cerchi concentrici. In una mano un metal detector e nell’altra un bastone, che traccia linee sul terreno a ricordargli dove è già passato.

“Papà, cosa fa quel signore?”

Cerca qualcosa. Qualcosa che qualcun altro ha perso, o abbandonato. Adesso che la festa è finita, a settembre inoltrato, dopo tre mesi di infradito e ombrelloni, avanti e indietro con efficienza da società postindustriale. È un saggio, un outsider. O forse è solo uno sciacallo in canottiera. Batte chilometri di spiaggia, da Sperlonga a Terracina. Un paio di settimane basteranno.

Vivere dei residui, vivere fuori stagione. Credi di essere furbo, vecchio? Credi che alla fine sarai più contento, o meno stanco, di chi ha avuto il coraggio di restare nella corrente? Di essere un ingranaggio della macchina, senza presunzione?

I ragazzi del campeggio stanno smontando lo stabilimento. Un pannello alla volta smantellano il bar, le cabine, l’infermeria. Quasi ci sfilano le passerelle da sotto i piedi: giorno dopo giorno ne troviamo un pezzo in meno. Lavorano con lentezza inesorabile, ogni tanto si siedono all’ombra e prendono fiato. Il capo è un romeno sui sessanta, magro e ingobbito, che trasporta pesi enormi senza una smorfia. Ai suoi ordini due connazionali più giovani e un africano, con moglie italiana e figlioletto che corre sulla spiaggia mentre papà lavora.

Ascolto brandelli di conversazione. Uno dei romeni indica l’africano, fermo su una piattaforma a reggere un pannello in cartongesso. Aspetta gli altri per trasportarlo. “Che cazzo fa quello?” “Lo scemo, fa” risponde un altro. Ridono. Ecco dove fermenta l’odio, mi dico.

Il bar del campeggio è chiuso, sono rimaste le lattine vuote sui tavoli e qualche sedia in disordine. Sul palco dell’animazione svolazzano i brandelli dell’ultima scenografia. Ivanka, la signora delle pulizie, ha schierato un centinaio di ombrelloni sulla pista da ballo. Li passa uno a uno con l’idropulitrice, fermandosi ad asciugare il sudore della fronte. Sorride sempre, mi spiega come fare abusivamente la spesa nel campeggio accanto, dato che qui il market è già chiuso.

Tra qualche giorno si rientra, inizia un nuovo anno di lavoro. Credevo di essere furbo. Che avrei trovato qualcosa nella sabbia, a settembre inoltrato. Un tesoro. O forse un segreto, una soluzione. Ci sono cascato ancora, come ogni anno.

Io e mia figlia costruiamo piscine fortificate in riva al mare. Ogni mattina con dedizione, paletta e secchiello. Scaviamo per il piacere di farlo, insieme. Sapere che il mare raderà al suolo ogni cosa, stranamente, mi dà un senso di giustizia e di pace.

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