30 anni dopo Berlino: oggi il muro è fatto di parole

Immaginate di avere davanti un amico che non incontrate da un po’. Voi dite: “Che bello vederti!” Lui però fa una faccia arrabbiata, si volta dall’altra parte. In preda alla confusione vi chiedete cosa stia succedendo e vi rendete conto che per lui “bello” significa “brutto”, anzi “bruttissimo.” Insomma, lo avete appena insultato. Così provate a rimediare, gli dite: “Aspetta, c’è un equivoco, volevo dire che mi sei mancato.” Ma la situazione non fa che peggiorare e capite che per lui anche quella frase ha cambiato significato. Ora vuol dire: “Mi fai schifo, se avessi saputo che ti avrei incontrato non sarei nemmeno uscito di casa.”

Ecco, tra voi e il vostro amico c’è un muro, anche se non si vede. E siccome non si vede, non potete prendere un piccone per abbatterlo, come trent’anni fa hanno fatto a Berlino, il 9 novembre 1989.

Ora, immaginate di essere su Facebook, Twitter o su qualche altro social network. Voi postate una foto di una nave che attracca in porto, piena di persone dalle facce stanche e allo stesso tempo esultanti. Scrivete: “Stamattina la nave di una ONG ha salvato un centinaio di migranti nel Mediterraneo.” Chi vi legge inizia a insultarvi, vi cancella dalla lista degli amici, perché in realtà avete appena scritto: “Stamattina degli scafisti senza scrupoli hanno fatto entrare clandestinamente in Italia un centinaio di criminali e fannulloni.”

Sta succedendo questo. La parodia non è lontana dalla realtà. Siamo costantemente bombardati di messaggi che insistono sempre sugli stessi concetti: per strada, in TV e sui social. L’obiettivo? Manipolare l’opinione delle persone. E non è una frase ad effetto detta per impressionare: c’è gente che lo fa di mestiere, come ad esempio Luca Morisi, che attraverso l’uso scientifico dei mezzi di comunicazione, si occupa di identificare gli argomenti più caldi del momento per poi cavalcarli, distorcerli, con lo scopo di far guadagnare consensi al proprio datore di lavoro, nel suo caso Matteo Salvini.

La cosa più grave, forse, è che le opinioni non vengono manipolate per questione di contenuti. Chi ci dice di temere i neri, per dire, non ce l’ha davvero con i neri. Sì, magari gli africani non gli sono simpatici, ma il fatto è che i neri gli servono, perché se ci convinciamo che i neri ci stanno minacciando potranno dirci: votami, io ti proteggerò. Lo stesso vale per i gay, i musulmani, i marziani, eccetera.

Così capita (e questo non è un fatto nuovo) che per far crescere il consenso si faccia leva sulla paura, si getti fango sugli avversari o semplicemente sugli innocenti, si diffondano notizie false tra milioni di persone per poi smentirle sottovoce a un pubblico di cento. Mostrare il pugno di ferro contro gli invasori la mattina e farsi fotografare mentre si coccola la propria figlia la sera, ecco la ricetta vincente. Severi ma umani. Gente con le palle, gente come noi. Ma come fanno a fare tutto questo con una connessione ad Internet? Quali sono le loro armi? Le persone. Noi.

Prima del 1989 a Berlino c’era un muro vero, si poteva toccare. C’era un di qua e un di là. Le cose erano chiare, e chiare erano anche le ingiustizie, le contraddizioni. Il muro di oggi invece si erge sul caos, si muove, striscia, cambia faccia continuamente. È muro invisibile. Un muro che ad oggi mi sembra indistruttibile e destinato a irrobustirsi, fino a quando non si sgretolerà a causa della materia corrosiva con cui è stato costruito. E allora ne farà le spese chi si troverà a passare lì sotto: tutti noi.

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