La Nuova Zelanda in Trentino. E Toto Cutugno?

Partiamo nella notte, a stomaco vuoto, perché la giornata è stata intensa di preparativi e non ci ha lasciato il tempo per mangiare. La nostra station wagon ha le ruote posteriori infossate nei parafanghi per il carico eccessivo, i bambini salutano i nonni, avvolti nei seggiolini in cui presto si addormenteranno. Laura guida, io seguo al volante dello Zio-Camper, anche lui carico di mobilia, attrezzi, giocattoli, borsoni pieni di vestiti.

Lasciamo Arese, ci trasferiamo in Trentino.

Non abbiamo mai smesso di scalpitare, Laura e io. Chi più chi meno, a momenti alterni di intollerabile asfissia da Pianura Padana. Quando uno dei due sembrava aver trovato un qualche equilibrio, chissà come, tra l’umidità negli angoli della camera da letto e gli ingorghi intorno al centro commerciale di Arese, arrivava l’altro e diceva: Nuova Zelanda?

Nel frattempo le cose si sono dolcemente complicate e nelle nostre esistenze si sono materializzati Elisa e Francesco, con delle vite tutte loro. Quindi “Nuova Zelanda” non è più così facile, non così prudente. Invocarla è diventato per noi un segnale d’allarme, una parola d’ordine a dire che la diga è piena e serve un cambiamento.

Pronunciare le parole “Nuova Zelanda” ci ricorda un una promessa fatta tanto tempo fa, prima di atterrare all’aeroporto di Malpensa nel 2013, esausti, dopo due anni di viaggio. Stavamo tornando a casa, ma con l’impegno solenne di essere solo di passaggio.

Laura e io abbiamo quasi dieci anni in più e insieme ai contributi INPS abbiamo maturato vari mal di schiena e un’insofferenza verso tutto ciò che è scomodo senza un motivo. La nostra irrequietezza ha preso una strada più prudente e da qualche anno stiamo cercando di lasciarci alle spalle la città in favore di un luogo più a nostra misura.

Ed eccoci al casello di Brescia Est, a puntare verso il lago di Idro e poi la valle delle Giudicarie.

Arriviamo nella notte, tre ore più tardi. Le montagne sono grumi neri sullo sfondo blu scuro del cielo. L’aria è fredda e profumata di fieno appena tagliato. Appena spento il motore sembra ci sia silenzio, ma i versi degli uccelli notturni e lo scorrere dei torrenti sono un sottofondo fisso da queste parti.

Scarichiamo la macchina senza fare rumore, nel centro del paesino che ci ha già ospitati durante il lockdown. Staremo qui almeno fino all’estate. Di nuovo provvisori, ma in movimento nella direzione scelta. Questo è importante.

Certo, la pandemia da Covid-19 e la fragile salute del più piccolo di casa hanno avuto un ruolo in questa decisione, anticipandola un po’. Ma ciò che conta è provare a tenere in mano il timone. Poi si sa, il vento, se s’incazza, decide lui. Questi ultimi mesi lo hanno dimostrato a tutti noi.

Abbiamo fatto una mossa importante, che a me ricorda due cose: la prima volta che ho lasciato il bordo della piscina per nuotare da solo, e quel volo per gli Stati Uniti preso nel 2011. Ora abbiamo un anno scolastico per capire se questo posto fa per noi, o per trovarne uno ancora migliore. Per capire se ai bambini il cambiamento fa bene o meno, e se come tutti dicono fuori dal cemento non c’è lavoro.

Incarniamo un sogno alla Toto Cutugno, che voleva andare a vivere in campagna. Abbiamo addosso il ballo di San Vito di Capossela. Ricordiamo (agli altri) le montagne verdi di Marcella Bella. Proveremo a raccontare qui anche questo viaggio, se a qualcuno interessa.

Stare fermi non funziona per noi, l’abbiamo capito. Abbiamo anche capito che vivere in riva a un lago dai riflessi cangianti non significa essere felici. Sappiamo che il problema non è (solo) il cemento e la soluzione non è tutta là fuori.

Per noi vale la frase attribuita a quel tale spettinato che fa la spesa da Euro Spin: “La vita è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio devi muoverti.”

[foto da researchgate.net]

Rispondi