Verso la fine di maggio ho avuto il lusso di qualche giorno per conto mio, a bordo del glorioso Zio Camper. Sono andato in Val di Tovel, nel Parco Naturale Adamello Brenta, in Trentino. Ci sono andato sia per vedere un luogo tra i più belli delle nostre Alpi, sia per visitare una delle zone più frequentate dagli orsi bruni, di cui mi sto occupando per un lavoro che (state pronti) sarà pubblicato a breve.
La val di Tovel in estate è piena di turisti, al punto che (anche causa Covid) occorre prenotarsi per poter parcheggiare (a pagamento). Ma la stagione non era ancora iniziata, i parcheggi erano deserti e i baracchini in legno dei gestori chiusi.
Mi sono piazzato in una delle aree di sosta, nel mezzo del bosco. Mentre cenavo, con pane e formaggio, fuori è calata la notte e non me ne sono accorto. Quando sono uscito per prendere una boccata d’aria il buio era totale, anche ad aspettare che l’occhio vi si abituasse. I rumori del bosco (un ruscello, il vento tra i faggi e gli abeti, gli uccelli notturni e altri fruscii non identificati) rendevano difficile trovare punti di riferimento e non nascondo che ho avuto l’istinto di tornare indietro e chiudermi dentro a chiave. Poi, timida, è arrivata la ragione a rassicurare quella voce che chiedeva: Cosa c’è nel buio, proprio qui di fronte a me?
Ha vinto l’istinto, comunque. E i brividi di freddo. Ma non prima di aver respirato a fondo e pensato che sì: ero nel posto giusto. Non al ristorante, non a una festa, né a passeggio nel centro di una città. Nel buio, nel “silenzio”, da solo.
Il mattino dopo sono sceso poco più a valle, verso un’altra area di parcheggio a caccia di informazioni sull’area, prima di prendere il sentiero verso il lago di Tovel (la sera prima non avevo incontrato anima viva e nessuno dei miei due telefoni prendeva).
In mezzo alla spianata c’è una piccola utilitaria, una Dacia Sandero bianca, con una di quelle tende che si montano sul tetto. Accanto alla macchina un uomo sta seduto su uno sgabello, prepara un caffè su un fornellino a gas appoggiato a terra.
Risponde al mio saluto con un cenno del capo. Ha almeno 80 anni, qualche acciacco serio che si nota anche da seduto. Non ha informazioni per me, e superata la diffidenza è lui a chiedermi se conosco un posto in ci può caricare il telefonino, e magari riuscire a mandare un messaggio. Sua figlia vuole notizie da lui almeno una volta al giorno e teme che si preoccupi, o peggio possa chiamare la polizia per chiedere aiuto. Ma lui sta benissimo, dice.
“Cristo, non può mettermi in croce! Questa cosa mi ha rovinato la giornata” dice alzandosi instabile sulle gambe, agitando il telefonino come fosse una mela marcia. Ma nella voce si mischiano fastidio e amore, e la consapevolezza che scenderà a valle per mandare quel maledetto messaggio.
Non gli ho chiesto come si chiamava, non aveva voglia di chiacchierare. E nemmeno io, in realtà. Però mi ricorderò di lui come di una proiezione, di un auspicio. È così che voglio invecchiare.
[Photo by Manuel Venturini on Unsplash]